La normativa fiscale italiana nell’art. 73 comma 3 Tuir, stabilisce che una società di capitali è considerata fiscalmente residente in Italia quando per la maggior parte del periodo d’imposta ha mantenuto la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.
Tali criteri sono tra loro alternativi e, quindi, basta il realizzarsi di uno solo di essi affinchè la società o l’ente vengano sottoposti a tassazione in Italia, in base al noto principio della tassazione su base mondiale (c.d. worldwide principale).
La sede legale è un requisito di carattere formale e si identifica con la sede sociale indicata nell’atto costitutivo o nello statuto.
Per oggetto principale si intende invece l’attività d’impresa effettivamente esercitata dalla società, ovvero il core business della persona giuridica.
La sede dell’amministrazione di una società è il luogo dove vengono assunte le decisioni fondamentali che riguardano l’impresa, dove vengono definiti gli indirizzi strategici e diramate le pertinenti direttive aziendali.
Sul punto la Corte di Cassazione (sentenza n. 3604 del 16.06.1984), ha affermato che la “sede effettiva” delle persone giuridiche è il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accertamento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e egli uffici societari in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente”.
La sede effettiva non coincide con il luogo in cui si trova un recapito della persona giuridica, ma si identifica con il luogo dove si svolge la preminente attività direttiva ed amministrativa dell’impresa (cfr. Corte di Cassazione sentenza n. 2515/1976, n. 2472/1981 e n. 3910/1988).
Infine, nella giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sentenza n. 3028 del 13/10/1972), ha sottolineato che la sede effettiva di una persona giuridica non è semplicemente il luogo ove si trovano i suoi beni, i suoi stabilimenti e dove si svolge l’attività produttiva, ma quello in cui abbiano effettivo svolgimento anche l’attività amministrativa e direzionale, ove cioè risieda il suo legale rappresentante, i suoi amministratori e dove sono convocate le assemblee societarie.
La finalità delle norme emanate in tema di esterovestizione è quella di contrastare quei fenomeni di fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale, ivi posizionando la sede legale “onde creare un’apparenza di residenza fiscale nello Stato estero ma conservando, nella sostanza in Italia, in modo occulto e non trasparente, il centro amministrativo decisionale ed operativo della società”.
Sempre sul tema, sulla base delle raccomandazioni Ocse, all’articolo 4 del modello di Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni, la sede di direzione effettiva deve essere individuata in un’ottica di prevalenza della sostanza sulla forma sulla base dei seguenti elementi:
- luogo dove vengono assunte le decisioni chiave, di natura gestionale e commerciale, necessarie per la conduzione dell’attività di impresa;
- luogo dove la persona o il gruppo di persone che esercitano le funzioni di maggior rilievo assumono ufficialmente le loro decisioni;
- luogo di determinazione delle strategie che dovranno essere adottate dall’ente nel suo insieme.
Ne deriva la conseguenza che l’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione integra il reato previsto dall’articolo 5 Lgs. 74/2000, sussiste se detta società abbia “stabile organizzazione in Italia”, il che si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinchè sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi.
Con lo scopo di rafforzare la lotta all’evasione in ambito internazionale, il D.L. 223/2006 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico un meccanismo che, in virtù di una presunzione legale relativa, pone l’onere della prova in capo al soggetto estero che viene considerato presuntivamente esterovestito.
Sotto il profilo sostanziale la società dovrà dimostrare:
- di avere mantenuto all’estero la propria sede amministrativa;
- di esercitare all’estero un’effettiva attività commerciale, industriale, di servizi;
- di avere costituito, oltre frontiera, un’idonea organizzazione di uomini e mezzi necessaria per lo svolgimento della propria attività;
- di non essersi insediata all’estero per motivazioni esclusivamente fiscali;
- di non essere qualificabile come una struttura di puro artificio.
Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante i presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od attività, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero.
In tema di residenza fiscale, si è recentemente consolidato in giurisprudenza un particolare approccio ermeneutico: attesa la fondamentale importanza dei principi di libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, in ambito comunitario non può essere contestata l’esterovestizione societaria se non si è in presenza di una struttura di puro artificio, ossia di un soggetto che non svolge, in realtà, alcuna attività economica ma è stato costituito con il solo scopo di ottenere un indebito vantaggio fiscale. (Corte di cassazione sentenze n. 33234/2018 e 33235/2018 entrambe pubblicate il 21/12/2018).
Il fenomeno dell’esterovestizione, per assumere una connotazione abusiva, deve avere come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale che deve risultare, da un insieme di elementi oggettivi, lo scopo essenziale dell’operazione; la circostanza, quindi che una società sia stata creata in un determinato Stato per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa abuso d i tale libertà.
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